Dal Pincio il fianco del colle che scende a valle, nel 1629 era un dirupo scosceso prima che vi nascesse la splendida scalinata di Trinità de’ Monti. Alla base ci dovevano essere prati e terreni liberi.
Forse speravano che l’Acquedotto dell’Acqua Vergine raggiungesse la sommità del Pincio stessa per sistemarvi una fontana che dominasse Roma. Purtroppo la pressione dell’acqua che correva lungo via Condotti (appunto) in quella zona non lo consentiva e bisognava addirittura abbassare il livello della fontana. Fu allora che Papa Urbano VIII° Barberini decise di scegliere quel sito per crearvi una fonte di acqua per la popolazione.
In un quartiere che ne necessitava. Poiché desiderava che la forma della fontana uscisse dai canoni tradizionali, ne affidò il progetto e la realizzazione a Pietro Bernini che aveva l’incarico di Architetto dell’Acqua Vergine e quindi ne conosceva i problemi idraulici. Proprio a causa di questa mancanza di pressione, egli scelse di dargli la forma di una barca che risultasse mezza affondata. Semisommersa. All’interno di un ovale ellittico in cui tracimava l’acqua in eccesso, che rappresentava probabilmente il mare. Leggermente al di sotto del livello stradale.
Realizzata nel marmo tipico di Roma, il travertino. Con tre zampilli a ciascuna delle due estremità di prua e di poppa di forma eguale inarcate verso l’alto che presentano anche due sculture a forma di sole dal volto umano e quattro fori circolari come bocche di cannone. Oltre ai due stemmi pontifici con le api araldiche dei Barberini. Sembra che Pietro nel progetto avesse coinvolto il primogenito, Gian Lorenzo, a cui si deve, probabilmente, il fatto di aver indirizzato parte dell’acqua, con uno zampillo, al centro della barca.
Per giustificarne forse il motivo, visivo, scenico, del semi affondamento del natante. Come primogenito Gian Lorenzo ne ereditò la carica quando il padre morì proprio nell’anno della sua inaugurazione.
Le Barcacce, in epoca romana erano barche dai bordi ribassati per il carico delle botti di vino e per trasportare sul Tevere, anche granaglie, per la popolazione dell’antica Capitale del mondo. C’è chi sostiene invece, che il nome le provenisse dal fatto che, in quel luogo si trovasse e fosse rimasta a lungo, una vecchia e malandata barca in secco, trascinata dal Tevere in una delle sue periodiche quanto mefitiche esondazioni.
La prolificità umana di Gian Lorenzo Bernini (ebbe 11 figli!), ma soprattutto quella artistica, ha avuto in Roma numerosissime occasioni per mostrare la sua grandissima vena soprattutto scultorea. Ha sempre cercato nelle sue creazioni il senso del vero, del naturale, quasi del teatrale, nel desiderare il
coinvolgimento emotivo di che le guardasse. Citarne le opere significa dimenticarne alcune. Ma ce n’è una che per le sue dimensioni, il significato che vi attribuiva, l’intelligenza degli elementi e la loro disposizione unica, ha raggiunto un livello universale. L’immenso, simmetrico, triplice, enorme colonnato che abbraccia piazza San Pietro. A cui è seguita, alcune centinaia di anni dopo, sapientemente, l’eliminazione della cosiddetta spina di Borgo. Per dare quella continuità al colonnato, alla quale credo che anche il Bernini sarebbe stato d’accordo. Ed ora dalla sommità della cupola di San Pietro, o come si direbbe oggi: “a volo di drone”, Gian Lorenzo sarebbe felice di vedere quegli enormi archi simmetrici che si prolungano quasi all’infinito per Via della Conciliazione, nell’atto di abbracciare le migliaia di persone che verranno ad ascoltare la parola dei Papi.
Per tornare alla “Barcaccia”, la sua eleganza non può non avere ispirato, quasi un secolo dopo, l’architetto romano Francesco De Sanctis incaricato di adornare le pendici del Pincio con un pentagramma di scalini alla Ersoch, che terminassero con quella immaginifica fontana.
A creare quella scalinata famosa in tutto il mondo che, in primavera, si colora di migliaia di azalee in fiore.